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            Le
            mani di mio padre  
            (di
            Pino Siciliano) 
              
              
            Un
            romanzo dalla trama avvincente e coinvolgente,  ricco di
            colpi di scena, da lasciare spesso il fortunato lettore con il fiato
            sospeso e trascinarlo, come un fiume in piena, in avvenimenti  
            magistralmente descritti. 
            
            Il linguaggio fluido e la forma fine permettono all'autore di 
            raccontare in modo quasi reale  la
            storia di un 
            tenente dei carabinieri che dopo trenta anni dalla morte del padre
            si mette alla ricerca degli
            assassini. Scopre ciò che non si riesce ad immaginare.  
            Il
            romanzo piacevole e geniale, interessa ed appassiona perché intercalato nel contesto sociale
            e culturale tipico di questo territorio. Si è così
            portati obbligatoriamente a riflettere su fatti,
            comportamenti, modi di pensare, atteggiamenti, vizi, virtù e 
            debolezze che ormai appartengono al costume e
            alla società calabrese che tutti ben conosciamo.  
             
            Alcuni avvenimenti veri e significativi, raccontati con maestria 
            dall'autore hanno  particolarmente attirato la mia attenzione 
            favorendo così un'ulteriore riflessione che voglio partecipare ai 
            visitatori. 
             La 
            prima riguarda il 
            comportamento della figlia di un capo bastone locale,
            che, invece di seguire le orme del padre, lo ripudia, dimostrando  
            grande forza di volontà nell'opporsi allo stato delle cose.  
             Il rovescio
            della medaglia lo troviamo nella vicenda che conclude il romanzo 
			dove la 
            narrazione mette in risalto un aspetto molto importante della vita 
            degli abitanti di questi paesi: la rassegnazione. Spesso e purtroppo 
            questo convincimento costringe in modo subdolo a deviare il 
            comportamento dalla "vera vita normale".  Il romanzo 
			si conclude quando alla vista dell'incantevole paesaggio
            che si vede dall'alto del monte Trepitò, Marida, la ragazza Toscana 
            protagonista nel romanzo,
            si stupisce e si domanda come mai posti così belli in Calabria non
            sono il motore
            dell'economia così come lo sono in Toscana o in tantissimi altri
            posti del mondo. Paolo, il compagno calabrese tenente dei 
            carabinieri in cerca degli assassini del padre,  dice: "... qui di
            meraviglioso c'è solo quello che hai davanti. Per il resto è un
            mondo dove non c'è niente perché nessuno ha bisogno di niente.
            Dove tutti sono molto forti e molto furbi ... . Avremo sempre
            bisogno del compare, dell'amico o del conoscente di ... . Nessuno
            qui si sogna di rivendicare i propri diritti perché sarebbe  il primo ...
            eppure  da secoli continua così".  
            
            .............. 
			
            Adesso dovrei scrivere la mia riflessione  ... ma forse l'ho 
			già fatta! 
              
            R.
            C.
                  
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